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Ugo Volli
Cartoline
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Perché se ne parla tanto 07/05/2017

Perché se ne parla tanto
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

di “Palestina” e “palestinesi” i giornali parlano continuamente, molto più di quanto parlino di paesi veri, immensamente più grandi e importanti per il futuro del mondo. Non c’è giorno che non esca una notizia sui territori amministrati da Ramallah o da Gaza, che in tutto fanno 4 milioni di abitanti su una superficie inferiore a quella dell’Umbria o della provincia di Cuneo. Qual è l’ultima volta che avete letto un articolo sulla Cina? E sull’India, paese di grandissima civiltà, con un miliardo e rotti di abitanti e un’economia in rapida espansione?
Non parliamo del Brasile o dell’Australia: sapete dire chi li governa?
E’ una strana inversione di pesi, che ha a che fare naturalmente con un’accanita volontà di conquista della “notiziabilità” da parte dei dirigenti palestinesi, dai tempi in cui per conquistare la prima pagina dei giornali internazionali dirottavano aerei. Essendo virtuale la “Palestina”, il suo territorio vero è nell’informazione e nella azione dei suoi sostenitori.

Prendete per esempio il BDS, quel movimento che vorrebbe boicottare, disinvestire, sanzionare Israele, insomma colpirlo sul piano economico, come i nazisti fecero con le basi economiche della vita ebraica in Germania appena saliti al potere, molto prima di progettare i campi di sterminio. L’impatto economico di questo movimento è molto scarso: nell’ultimo trimestre del 2016 l’economia israeliana è cresciuta del 6,2 %, la più forte dei paesi dell’OCSE, la disoccupazione è il 4,6%, nonostante i settori deboli (charedim, arabi israeliani), l’investimento in ricerca e sviluppo è del 4,25% sul Pil (http://www.ilfoglio.it/economia/2017/02/22/news/leconomia-di-israele-e-piu-forte-dellodio-121636/ ) , mentre in Italia è l’1,33% e in Europa il 2,03%.
Le imprese israeliane più note prese di mira, talvolta in maniera violenta, dai boicottatori (Ahava, Teva, SodaStream ecc.) vanno in genere molto bene e non sono certo danneggiate dalle intemperanze degli estremisti.
Ma quel che conta per loro (e per i palestinisti che li manovrano) non è realizzare fatti concreti che sanno di non poter raggiungere, ma fare notizia.

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Più precisamente, vogliono ottenere due risultati mediatici diversi allo stesso tempo: da un lato incoraggiare la loro base, gli arabi che abitano in Terra di Israele, che da quasi cent’anni danneggiano continuamente impedendo loro di godere dei frutti della pace e della collaborazione con una società innovativa, dinamica e creativa come quella israeliana.
Da questo punto di vista i video di Hamas come questo (https://www.youtube.com/watch?v=XZ1IKnUojwY ) e soprattutto questo (https://www.youtube.com/watch?v=NCEU6Hm5Rss ) sono estremamente significativi nel loro patetico velleitarismo.
Il secondo obiettivo, su cui c’è la principale connivenza con la stampa internazionale, è quello di danneggiare continuamente l’immagine di Israele, di presentarlo come colpevole dei più immondi delitti, di far apparire come innaturale e illegittima l’esistenza stessa di uno stato degli ebrei.
Qui la propaganda politica e il giornalismo di parte si incontrano con la teologia, con elementi religiosi così antichi e profondi nella cultura occidentale da riemergere quasi intatti dopo il trauma della Shoah e da non apparire come un giudizio politico, o meglio un pregiudizio razziale e religioso.

Che gli ebrei, avendo rifiutato Gesù (e poi Maometto) fossero un popolo egoista “perfido”, materialista, crudele, senza onore, responsabile della morte dei profeti (o del Profeta o addirittura “deicida”) odiato pertanto da Dio, incapace di comprendere i propri stessi torti, superato dalla storia e destinato all’estinzione ma ostinato a sopravvivere comunque a danno degli altri sono calunnie ripetute sistematicamente dalla fondazione della Chiesa e dell’Islam.
La prova regina che si usava esibire per questa condanna era che Israele fosse l’unico popolo espulso dalla sua terra, esiliato, maltrattato da tutti.
L’umiliazione degli ebrei espressa nella loro espulsione dalla Terra Santa era insieme la prova e la conseguenza della loro maledizione.
Per questo il fatto che esista uno stato ebraico, proprio sulle terre ancestrali in cui il popolo di Israele si è formato è un fatto difficilissimo da accettare, che mette in causa tutta una teologia della storia.

La Chiesa cattolica ha fatto molta fatica a prenderne atto. Ci sono stati progressi importanti sui rapporti con gli ebrei, ma ancora il tema di Israele e della sua legittimità è difficile da accettare. Altre chiese e l’Islam sono rimasti molto più indietro. Nell’opinione pubblica occidentale non si può leggere, naturalmente, un ragionamento ben definito, ma il pregiudizio resta sovrano.
Se per caso (has veshalom, come si dice in ebraico, non lo voglia il Cielo), Israele crollasse, si riaffermerebbe il vecchio discorso teologico, la vecchia prova che davvero la Chiesa (o l’Islam, o il comunismo) hanno annullato il vecchio popolo che ha portato al mondo il monoteismo.
Per questo servono i “palestinesi”: per mettere in dubbio l’insediamento ebraico nelle terre antiche, per confermare il (pre)giudizio millenario contro la “depravazione giudaica”. Per far sperare ancora chi sente che la sua fede è confermata dalla disgrazia di chi non l’ha mai voluta accettare.
E a questo serve anche l’attenzione spasmodica della stampa e il suo schieramento sempre più antisraeliano (e dunque antisemita): per far capire la “perfidia” degli ebrei servono gli altoparlanti dei media e la loro collaborazione con i palestinisti che si prestano sulla loro pelle a mostrare che davvero gli ebrei uccidono i bambini, avvelenano i pozzi, rubano le terre, vogliono conquistare il mondo, come sapevano i crociati e gli inquisitori, i giudici di Trento e di Marostica e di Norwich e tanti bravi sovrani e cavalieri.

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