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Ugo Volli
Cartoline
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Da Heidegger a Arendt, dall’antisemitismo all’antisionismo 29/11/2016
Da Heidegger a Arendt, dall’antisemitismo all’antisionismo
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: Martin Heidegger il nazista

Cari amici,

in queste cartoline vi parlo quasi sempre di fatti dell’attualità politica, spesso ignorati dai media e cerco di fare insomma una contro-cronaca di ciò che accade a Israele e al mondo ebraico. In questo momento, salvo qualche tentativo, molto dannoso ma sostanzialmente impotente e velleitario, la guerra contro Israele e gli ebrei non ha più carattere di sterminio o di distruzione militare, com’era accaduto spesso con l’antigiudaismo cristiano e musulmano, in maniera decisiva con Hitler e poi con l’assedio degli eserciti arabi e del terrorismo palestinese in grande stile. Oggi l’assedio è prevalentemente “postmoderno”, lavora meno direttamente con le armi e più con le idee che potrebbero giustificarne in futuro l’uso, insomma è giornalistico, diplomatico, giudiziario, politico. Spesso, analizzandone le modalità e interrogandomi intorno alle motivazioni che inducono l’Europa e in questo momento in particolare la Francia, arrivo a un punto di non ritorno, cioè all’antisemitismo. Perché istituzioni e popoli che si dicono democratici spendono tempo e energie per demonizzare, discriminare, diffamare, isolare un piccolo stato che è democratico come loro e meglio di loro, moderno pieno di innovazione scientifica, tecnologica, artistica e letteraria come loro o meglio di loro? Perché continuano a fare del male a un popolo contro cui si sono accaniti per un millennio e mezzo, una persecuzione il cui culmine è avvenuto settant’anni fa e rispetto a cui hanno fatto gradi cerimonie di pentimento, giornate della memoria, viaggi ad Auschwitz, film e monumenti? Perché non la smettono una buona volta e ci trattano almeno come fanno non con i loro amici, ma con i vicini normali (per esempio il Marocco o la Turchia o la Russia, cui sono pronti a perdonare colonialismi, invasioni di confini, violazione di patti, dittatura)?

La risposta è complicata, ma sta certamente nella cultura. E va dunque riformulata così: che cosa c’è nella cultura europea che genera questo antisemitismo? Certamente le tracce del lungo antigiudaismo cristiano, un odio che si è espanso nei secoli fino a far scrivere pagine vergognose non solo ai teologi più fanatici, ma addirittura anche a campioni del laicismo che però provenivano da quel terreno di cultura, da Voltaire a Kant fino a Marx. Ma ci dev’essere qualcosa di specifico del nostro tempo, che spiega il fatto che quest’odio continui oggi, dopo la traumatica esperienza del nazismo. Fra i vari fattori che si possono individuare, il più significativo a me pare la continuazione della cultura che condusse al nazismo e lo sostenne. Non si tratta solo della sopravvivenza odiosa ma tutto sommato ridicola e folkloristica, ormai da tempo ridotta all’impotenza, di braccia levate, camice nere o brune, ritratti dei dittatori. E neppure della rete più seria che ha aiutato gli ex nazisti, con forti appoggi internazionali (certamente i paesi arabi, certi paesi sudamericani, il Vaticano, i servizi segreti americani e sovietici). Quel che mi interessa sottolineare è la continuità dell’”alta cultura” nazista. Lo mostrano con chiarezza la stima con cui sono stati circondati (e che è paradossalmente cresciuta nel tempo) personaggi profondamente coinvolti nel nazismo, non solo sul piano personale ma nella loro produzione intellettuale: scrittori come Céline e Jűnger, antropologi come Gehlen, filosofi come Heidegger.

Del caso Heidegger ci siamo spesso occupati anche su questo sito, perché le tracce del suo nazismo (non solo nazismo personale, ma anche filosofico) sono riemerse molte volte, a partire dall’epurazione che lo colpì subito dopo la liberazione della Germania (allora chi consigliò di togliergli l’insegnamento fu Jaspers) alla distruzione del suo linguaggio da parte di Adorno (1962: https://www.ibs.it/gergo-dell-autenticita-sull-ideologia-libro-theodor-w-adorno/e/9788833927664) – ma prima ancora ne avevano scritto criticamente Karl Löwith e Emmanuel Levinas). Nel 1987 vennero i documenti pubblicati da Victor Farias (https://www.ibs.it/heidegger-nazismo-libro-victor-farias/e/9788833904214), poi l’analisi filosofica approfondita di Emmanuel Faye nel 2005 (http://www.lasinodoroedizioni.it/libri/18/heidegger-l-introduzione-del-nazismo-nella-filosofia), infine il recente dibattito sui “Quaderni neri” in cui l’antisemitismo e il nazismo di Heidegger sono emersi in scritti privati sì, ma filosofici e destinati alla pubblicazione. Insomma sul nazismo di Heidegger non si è mai smesso di combattere, anche se era evidente fin dalla sua pubblica adesione al partito e al suo rettorato del 33/34, riempito tutto di gesti nazisti. Ma si continua a farlo perché alle sue teorie e al suo linguaggio, così ostentatamente legato al nazismo, una buona parte della filosofia contemporanea non vuole assolutamente rinunciare e si contorce in tutti i trucchi per nascondersene l’evidenza. Per vedere in azione questa resistenza o rimozione, è utile un libro di qualche anno fa, intitolato giustamente “Une histoire consternante” (http://books.openedition.org/pupo/1189) del filosofo tedesco (benché nato a Teheran) Hassan Givsan, in cui si ricostruiscono le difese di Heidegger tentate da autori così diversi come Gadamer e Rorty, Derrida e Lyotard, nonché naturalmente da Hannah Arendt.

Immagine correlata
Hannah Arendt, Martin Heidegger

Proprio alla Arendt, di recente mitizzata da un brutto film della Von Trotta, è dedicato l’ultimo libro di Emmanuel Faye (Arendt et Heidegger. Extermination nazie et destruction de la pensée, Albin Michel, Paris; qui è la sola recensione apparsa in italiano, per quel che ne so: https://www.avvenire.it/agora/pagine/faye-e-la-arendt). Faye fa i conti con i materiali di Heidegger pubblicati negli ultimi dieci anni e fa a pezzi le difese tentate anche in Italia dei “Quaderni neri”. Ma l’aspetto veramente nuovo è la ricostruzione dei rapporti (filosofici, non di quelli erotici) fra Heidegger e la sua allieva Arendt, dove si mostra la continuità del suo pensiero con quello del maestro, sempre più chiara nel corso dell’opera di Arendt. Leggendo questo libro e comprendendo come la produzione arendtiana non sia stata solo molto sopravvalutata, ma anche fraitesa come “democratica”, mentre è in realtà elitista e reazionaria, oltre che fortemente ostile all’ebraismo in generale, si capiscono le prese di posizioni apparentemente inspiegabili, come la difesa di Eichmann e l’opposizione alla fondazione dello stato di Israele. L’elitismo, l’aristocratismo, il disprezzo per il popolo “senza suolo” da cui era nata, l’apprezzamento per la violenza, la dipendenza da fonti non solo filosofiche ma anche storiche e letterarie in gran parte naziste di Arendt, sono dimostrate da Faye con una massa schiacciante di materiale e ragionamenti analitici scritti con grande chiarezza, non nel gergo volutamente oscuro e ambiguo degli heideggeriani.

Perché è importante parlare di questo libro e sperare che prima o poi qualcuno si decida a tradurlo (come del resto quello di Givsan)? Perché si vede all’opera il meccanismo che porta dall’antisemitismo segreto ma non tanto e spesso anche pratico di Heidegger, all’antisionismo e all’odio di Israele di tanti filosofi contemporanei, cultori della Arendt o eredi putativi di Heidegger. Certo, la filosofia può sembrare un terreno politicamente poco significativo, come la letteratura. Ma vi sono studi che mostrano come l’ideologia del regime iraniano dipenda molto dall’introduzione del pensiero di Heidegger (http://www.telospress.com/re-working-the-philosophy-of-martin-heidegger-irans-revolution-of-1979-and-its-quest-for-cultural-authenticity/), che ora ha anche trovato una base nel nazionalismo russo (http://www.radixjournal.com/journal/2014/11/16/alexander-dugin-and-martin-heidegger). E certamente l’influsso del pensiero “alto” sulla mentalità collettiva esiste, anche se non è avvertito. L’Europa dalla seconda guerra mondiale e negli ultimi decenni anche l’America non ha saputo contenere il contagio del pensiero che portava in direzione del nazismo (e neanche di quello che andava verso il comunismo, spesso simile all’altro e unito ad esso dall’odio per il liberalismo). I risultati, purtroppo, non sono mancati.

Immagine correlata
Ugo Volli


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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