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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Ugo Volli
Cartoline
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Un rischio terribile 15/03/2015
 

Un rischio terribile
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

a destra:
Herzog/Livni: o noi o lui +++ Netanyahu: noi o loro


 

 

Cari amici,

martedì in Israele si vota. Regolarmente e senza violenze, come sempre. Dopo una battaglia elettorale combattuta, ma solo a parole, come sempre. Condotta fra due schieramenti contrapposti di cui non vi è un vincitore prestabilito, come sempre. Con la partecipazione di una ventina di partiti, inclusi quelli arabi antisionisti, come sempre. Sarà un giudice arabo della Corte suprema, fra l'altro, a sovraintendere allo spoglio delle schede. Alla faccia di chi mette in dubbio la democrazia israeliana, parla di stato dell'apartheid e frescacce del genere. Per noi e per Israele è una cosa normale.

Ma diciamo che in quel mezzo mondo abbondante che comprende l'Asia e l'Africa solo tre o quattro paesi possono dire altrettanto: il Giappone, in parte l'India, la Corea del Sud. E nessuno è circondato da guerra e terrorismo come Israele. Certo non lo può dire la “Palestina” che molti amano contro Israele: le prime (e ultime elezioni si sono svolte una decina di anni fa e da otto si governa per decreto, o sulla punta dei fucili). Questo dovrebbe essere senza dubbio un tema di riflessione per i boicottatori e gli odiatori di Israele, ma evidentemente la vecchia idea che contare le teste è assai meglio che tagliarle a costoro non sembra convincente.

Queste elezioni per Israele sono dunque la norma, anzi una norma un po' noiosa e fastidiosa, perché anche nello stato ebraico come in Italia i parlamenti tendono a essere sciolti spesso prima della scadenza e le elezioni sono troppo frequenti. Ma insieme questa non è affatto un'elezione qualunque, sono le prime, da parecchio tempo, che rischiano di investire pesantemente la sicurezza di Israele. Vi è un paradosso in questo.

Mai a livello tattico Israele è stato più forte: le minacce di Libano e Siria sono molto diminuite per la guerra civile siriana, che assorbe anche le forze di Hezbollah; l'Egitto è più amichevole e collaborativo di quanto sia stato da molti anni; il governo giordano è ben consapevole di aver bisogno della pace con Israele per sopravvivere; contro la minaccia iraniana c'è un accordo tattico perfino con l'Arabia Saudita, che è sempre stata il centro economico e religioso della guerra araba contro Israele. Hamas è stata sconfitta duramente l'estate scorsa e, anche se sta cercando in tutti i modi di riarmarsi, non ha in questo momento la forza di attaccare. L'autorità palestinese, nonostante le mosse internazionali e allo stesso tempo l'appoggio per il terrorismo, conta oggi molto poco.

Tutto ciò è frutto di una gestione politico-militare che negli ultimi anni ha avuto grande successo nel tenere Israele fuori dal marasma arabo e nel difendersi dalle minacce terroriste, ricostruendo l'efficienza dell'esercito dopo il disastro della Seconda Guerra del Libano, gestita, val la pena di ricordarlo oggi, da Olmert e Peretz, che sono l'equivalente politico di quel che oggi è l'accordo fra Livni e Herzog. E però sul piano più ampio della strategia complessiva, il rischio è maggiore che mai. Questo pericolo ha due nomi: Iran e Obama, quest'ultimo con la patetica appendice dell'Unione Europea.

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L'Iran sta lavorando per diventare la potenza regionale egemone nel Medio Oriente, è già il potere dominante a Nord in Siria, Irak, Libano, infastidita solo parzialmente dallo Stato Islamico, che non è certo un problema serio per un esercito organizzato come il suo e a Sud in Yemen e Gaza/Sinai con forti infiltrazioni negli Stati del Golfo, in Arabia Saudita e Sudan; per questa egemonia lavora alacremente alla bomba atomica. Il suo altro obiettivo è la distruzione di Israele, obiettivo che sbandiera anche come ragione per meritare appoggio e potere. Naturalmente comandare il Medio Oriente e circondare Israele è essenziale per poterlo depotenziare e distruggere. Tutto ciò sarebbe già molto pericoloso senza appoggi esterni.

L'Iran è un grande stato, ha dieci volte più abitanti di Israele e ottanta volte il suo territorio; ma almeno il 50% in più ne controlla fuori dai suoi territorio. I suoi militari sono attivi sul Golan, 1000 chilometri più a Ovest delle sue frontiere. Obama ha deciso di appoggiare questa espansione: per islamismo, per complesso di colpa dell'America, per uscire dal Medio Oriente. L'accordo che sta per firmare permetterà all'Iran di diventare una potenza nucleare ufficiale fra 10 anni (che non è un tempo lungo per gli ayatollah: sono passati 36 anni dalla rivoluzione, Khamenei è “guida suprema” da 26) e di restare fin da subito “alle soglie” della Bomba. In più Obama vuole che Israele si accordi nei termini voluti da Abbas sulla “pace” con l'Autorità Palestinese - che per Israele sarebbe il suicidio. L'Europa lo spalleggia su entrambi i temi. Ed entrambi sono ragione di vita o di morte per Israele e dovranno essere gestiti nei prossimi mesi evidentemente in tensione con l'amministrazione Obama. Israele non può accettare la legittimazione dell'armamento nucleare dell'Iran né la sua egemonia regionale. E non può farsi richiudere nei “confini di Auschwitz” (come Abba Eban definiva le linee armistiziali del'49, quelle che gli ignoranti chiamano “confini del '67”).

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Gli obiettivi di Obama sono incompatibili con la sicurezza di Israele e il governo dello stato ebraico dovrà cercare di difendersene e sventarli. Questo e non una semplice “antipatia”, come dicono i giornalisti pettegoli, ha segnato le battaglie politiche che Netanyahu ha sostenuto con Obama negli ultimi anni e che finora è stato in grado di vincere con una raffinata miscela di flessibilità e durezza. Questo spiega anche perché Obama ha buttato tutto il peso (e i soldi) della sua amministrazione nello scopo (illegale secondo la legge americana) di rovesciare il governo di un paese amico (http://www.jpost.com/Israel-Elections/Report-Senate-panel-probing-Obama-administration-ties-to-effort-to-unseat-Netanyahu-393905 ), tanto da essere indagato per questo dal Congresso (http://www.foxnews.com/politics/2015/03/14/senate-committee-probes-whether-obama-administration-funded-effort-to-oust/ ).

Qui viene in chiaro l'eccezionalità di queste elezioni. Per le ragioni messe in evidenza da un articolo importate di Kedar pubblicato ieri su IC, che vi consiglio vivamente di leggere (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=57533) Herzog è del tutto inadatto al ruolo di primo ministro: un grigio burocrate figlio di papà, che non ha mai avuto un incarico militare né politico rilevante (è stato ministro del turismo, del Welfare e... della diaspora, senza che nessuno da queste parti si ricordi un suo gesto o di una sua parola) e che è diventato segretario del partito laburista e candidato a Primo Ministro solo perché i suoi predecessori Barak e Yachimovitch si sono politicamente suicidati, ciascuno a modo suo. Se riuscirà a farsi nominare, il merito sarà della campagna e degli appoggi di Obama. Con che forza potrà opporsi al suo potente sponsor?

E in effetti al secondo posto dei suoi quattro obiettivi principali vi è il ritrovare l'accordo con l'amministrazione americana e al terzo fare ripartire le trattative con l'Autorità Palestinese, che per farlo richiede il riconoscimento dei confini di Auschwitz e il rilascio dei terroristi assassini. Per darvi l'idea del personaggio e della sua demagogia, al primo posto del programma urgente del governo ha messo l'abbattimento del prezzo delle case, che può essere realizzato (forse) solo in parecchia anni di lavoro, non certo in 100 giorni con un colpo di bacchetta magica (http://www.debka.com/article/24463/ ). Inoltre, come spiega Kedar, Herzog è percepito dal mondo arabo come un mollaccione privo di nerbo e la sua elezione sarebbe vista come l'inizio di una resa: ricetta sicura in Medio Oriente per una guerra (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/192596#.VQSOzo6G9Qc ). Insomma, se gli elettori israeliani daranno una maggioranza possibile a sinistra (in cui certamente dovranno essere determinanti i partiti arabi nemici di Israele), questo sarà il segnale della resa a Obama e della guerra coi vicini. Al di là della buona fede delle persone, per ragioni del tutto oggettive, votare a sinistra (per Herzog e Livni, ma anche per Meretz e per Lapid) significa mettere in serissimo pericolo la sicurezza di Israele. E' un rischio terribile, che io spero l'elettorato israeliano non vorrà correre.

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Ugo Volli


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