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La Repubblica - Avvenire Rassegna Stampa
04.02.2004 Una notizia due interpretazioni
la dietrologia subdola del quotidiano dell'Ing. De Benedetti, la correttezza di Avvenire

Testata:La Repubblica - Avvenire
Autore: Alberto Stabile - Graziano Motta
Titolo: «Coloni, tempesta su Sharon - Gaza, Sharon incassa l'appoggio dei laburisti»
Molte sono state le reazioni nel mondo politico israeliano all'indomani dell'annuncio di Sharon di volere spostare gli insediamenti della Striscia di Gaza. In particolare il premier incassa l'assenso dei laburisti ed un sondaggio di Yediot Acharonot mostra il consenso dell'opinione pubblica (il 60%). I giornali di oggi più o meno correttamente riportano la notizia mentre fa eccezione Repubblica che rivolta la frittata in chiave negativa. Alberto Stabile infatti firma un pezzo dal titolo "Coloni, tempesta su Sharon" nel quale si sofferma sulle reazioni della destra israeliana definita da lui "estrema, nazionalista, religiosa" che non appoggia la scelta del premier, il cui ruolo, teniamo a sottolineare, è stato quasi sempre marginale nella storia della politica israeliana ; il tono è polemico e mette in dubbio le reali intenzioni di Sharon che secondo Stabile vorrebbe, tra le altre cose, distogliere l'attenzione dalle sue vicende giudiziarie; infine Stabile conclude rammaricandosi del ruolo passivo dei palestinesi, ridotti a pure comparse di fronte alle scelte del temerario premier. Insomma Sharon deve essere criticato a prescindere da ciò che fa e dichiara, questo l'atteggiamento del desk esteri di Repubblica. Proponiamo in versione integrale l'articolo di modo da dare al lettore la possibilità di giudicarlo.
GERUSALEMME - Una bufera. Peggio, un terremoto capace di scardinare una maggioranza che fino ad ieri sembrava solidissima, indurre elezioni anticipate, evocare la nascita di una nuova alleanza con il ritorno dei laburisti al potere. Ma Ariel Sharon non sembra né sorpreso dalla svolta presa dagli eventi né intimidito dalle minacce che gli piovono addosso dai suoi alleati: «Se commetteranno l´errore di rompere, e spero che non lo commettano, dovrò fare un governo diverso. E lo farò, perché ho un paese da condurre e il paese ha bisogno del governo».
La bomba sganciata dal premier israeliano, annunciando la volontà di abbandonare la striscia di Gaza, ritirando quasi tutti gli insediamenti, sta provocando effetti dirompenti. Quella che sembrava una coalizione blindata pronta a passare indenne attraverso qualsiasi prova, rischia di squagliarsi al sole ben prima della tarda primavera, quando, secondo il vice premier Ehud Olmert, dovrebbe cominciare il ritiro da Gaza.
L´estrema destra nazionalista e religiosa, tradizionale alleata "dei coloni", ha dichiarato le ostilità. «Noi non saremo parte di questo (disastro)», minaccia il leader del partito Nazionale Religioso, Effi Eitan. Ma anche nel Likud c´è disorientamento, se un cauto distillatore d´emozioni come il ministro degli Esteri, Silvan Shalom ammonisce, diretto, che il ritiro da Gaza può distruggere la coalizione e provocare nuove elezioni.
Di contro, il terremoto ha improvvisamente risvegliato il grande malato della politica israeliana, il partito laburista perennemente sotto shock per la sconfitta subita tre anni fa. Una vecchio habitué del potere, come Shimon Peres, fiuta possibilità insperate. Qualcuno arriva ad ipotizzare che Sharon ha segretamente concordato le sue mosse con il suo antico avversario nel corso di un incontro avvenuto la settimana scorsa. Niente prove, naturalmente.
Per anni, dall´alto del suo prestigio, Peres ha tormentato Sharon rimproverandogli di aver perso tutti gli appuntamenti con la pace. Ma ieri, alla Convenzione laburista che lo ha confermato alla testa del partito per altri due anni, il Nobel protagonista degli accordi di Oslo, ha improvvisamente cambiato opinione: «Stavolta Arik non farà retromarce». E ha aggiunto parole impegnative: «Se Sharon realizzerà le sue promesse gli prometto il nostro pieno appoggio alla Knesset, qualunque cosa accada lungo la via».
Lui, Sharon, nulla sembra scuoterlo: né le accuse d´incoerenza, né le maledizione dei coloni messianici, né le speculazioni secondo cui sarebbe ricorso alla bomba Gaza per distrarre l´attenzione generale dall´inchiesta che lo vede sospettato di corruzione, alla vigilia di un nuovo interrogatorio della polizia fissato per giovedì. Indignato, neanche raccoglie simili provocazioni, lasciando ai cuoi collaboratori il compito di reagire.
Chiamato a sostenere la prova forse più difficile della sua lunga carriera politica, l´uomo che fu un tenace assertore della "colonizzazione" dei Territori difende adesso le sue ragioni uomo di stato, responsabile del futuro del suo Paese. «La nostra scelta - dice in uno sfogo premeditato - non è tra buono e ottimo, ma tra cattivo e pessimo. Adesso mi mostrano le fotografie di come ero trent´anni fa, 25 anni fa e cosa dicevo allora. Ma io guardo avanti, non dietro. Non dobbiamo confrontarci con ciò che è stato ma con ciò che deve essere. Sto parlando della striscia di Gaza e penso che con uno sguardo a lungo raggio sarà meglio per Israele che lì non ci sia nessun insediamento ebraico. La responsabilità ricade su di me e devo preoccuparmi del futuro, di ridurre il numero delle persone offese, rilanciare l´economia, promuovere l´immigrazione, creare le condizioni per la vita e la creatività. E lo farò".
La gente sembra aver colto il messaggio. In un sondaggio condotto dal quotidiano Maariv il 59 per cento degli intervistati appoggia i propositi del premier, il 34 per cento è contrario.
Propositi che non si esaurirebbero con il ritiro da Gaza ma, secondo uno dei portavoce di Sharon includono anche la possibilità di proporre ai palestinesi, se e quando vi sarà uno Stato palestinese, uno scambio territoriale. Secondo questa idea, Sharon proporrebbe di trasferire sotto sovranità palestinese parte della Galilea del Nord, abitata in prevalenza da arabi-israeliani, ottenendo in cambio di far ricadere sotto sovranità israeliana alcuni insediamenti in Cisgiordania. Così ristabilendo l´ "equilibrio demografico".
Ai palestinesi, ridotti ormai a pure comparse delle temerarie proposte di Sharon non rimane altro che dire, con Abu Ala, che il «la proposta israeliana di ritirarsi da Gaza è una buona idea. Speriamo che si ritirino anche da tutti i Territori occupati».
Su Avvenire Graziano Motta, al contrario, riporta la vicenda senza dare toni da tragedia ma in maniera semplice e precisa. Ecco il pezzo.

"Gaza, Sharon incassa l'appoggio dei laburisti"

È proprio credibile Ariel Sharon quando annuncia il progetto di abbandonare tutti e 17 gli insediamenti di coloni della Striscia di Gaza? «E’ finalmente diventato serio?», si domanda un editorialista di Ha-aretz. E quali sono le vere ragioni che stanno dietro la sua decisione? E gli Stati Uniti gli daranno il sostegno desiderato? E come andrebbero via i 7.500 coloni da Gaza: con in tasca un accordo tra Sharon e l’Autorità palestinese o sotto gli attacchi sferrati da Hamas e dalla Jihad islamica ai loro convogli?
La serie degli interrogativi non si ferma qui, potrebbe continuare. Per fugare i dubbi Sharon si è voluto recare ad Ashqelon, la città più vicina a Gaza. Ha ribadito che attuerà «a ogni costo» il suo piano di separazione unilaterale dai Territori palestinesi, sottintendendo che ritiene impossibile riprendere il negoziato con l’Autorità palestinese. «Nessuno reagisce più duramente di me all’idea dello smantellamento di una sola località nei Territori. Ma sono giunto alla conclusione che non c’è altra scelta, è il male minore, per assicurare lo sviluppo del Paese nel massimo di sicurezza».
Un sondaggio sembra dargli ragione: il 59 per cento degli interrogati per conto del giornale Yediot Ahronot si dice favorevole all’evacuazione delle colonie di Gaza (il 34 per cento contrario, il 7 per cento non ha opinioni). Ma la fronda monta all’interno del partito Likud di cui è leader. Il ministro degli Esteri, Silvan Sharlom, ammette che c’è «un gran fermento», non esclude una crisi di governo e arriva persino a ipotizzare nuove elezioni politiche. La collera dei coloni di Gaza non si acquieta dinanzi al progetto di ricevere un indennizzo. Dura è l’opposizione dei partiti nazionalista e religioso che danno per scontato il dissolvimento dell’attuale coalizione di governo. Ed ecco il leader laburista Shimon Peres dichiararsi, all’apertura del comitato centrale del suo partito, subito pronto a sostenere in Parlamento il piano di Sharon relativo a Gaza. C’è chi si dice addirittura certo del suo ingresso in un nuovo governo. Dietro questa posizione del leader laburista c’è la sua convinzione che Sharon andrà sino alla fine: «Non rifugiatevi –dice ai suoi- nel già visto e nel già sentito nei suoi confronti». Poi si rivolge ai più estremisti del Likud: «Al posto vostro mi alzerei di buon mattino e mi recherei a Gerusalemme dinanzi alla tomba di Yitzhar Rabin per pronunciare una sola parola. Scusami!».
Il primo ministro palestinese, Abu Ala, parla del progetto di Sharon come di una «buona notizia» e si attende «finalmente il ritiro di Israele da tutti i Territori palestinesi». A Gaza un esponente della Jihad islamica rivendica alla «residenza invincibile» del popolo fondamentalista il merito di aver costretto Sharon ad annunciare un piano di ritiro; una personalità di Hamas assicura che «il combattimento continuerò se il piano non porrò fine all’occupazione». Ma i tempi non sembrano brevi. Sharon parla di due-tre anni per il completamento del ritiro dei coloni dagli insediamenti di Gaza e il vice premier Ehud Olmert sostiene che il piano di separazione unilaterale dai territori potrà cominciare a giugno-luglio. Tutto dipende comunque dal sostegno degli Stati Uniti dove tornerà fra giorni il capo di gabinetto di Sharon, Dov Weissglass. Illustrerà anche la nuova idea di una soluzione finale di pace per i coloni che vivono nelle località della Cisgiordania: restando nelle loro case, all’interno del futuro Stato palestinese, conserverebbero la cittadinanza israeliana; di converso gli arabi che vivono all’interno del territorio nazionale ebraico, acquisterebbero la cittadinanza palestinese. Un’idea che potrebbe realizzarsi nella coesistenza pacifica tra i due stati vicini e con il terrorismo sconfitto. Stamane intanto i capi di gabinetto di Sharon e di Abu Ala riprendono i contatti in vista di un eventuale «vertice». La settimana ventura abu Ala intraprenderà una missione in Europa, cominciando, pare, da Roma.
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